Skip to content Skip to footer

Religione e AI: modelli linguistici come infrastruttura spirituale

Contenuto sviluppato con intelligenza artificiale, ideato e revisionato da redattori umani.
···

L’incontro tra fede e intelligenza artificiale esiste e sta avvenendo tramute sperimentazioni concrete, in cui linguaggio, interazione e conoscenza vengono messi alla prova in contesti reali. I grandi modelli di linguaggio, sviluppati dalla ricerca e successivamente adattati a contesti specifici tramite dati controllati, entrano gradualmente in chiese, templi e spazi comunitari, dando vita a nuove forme di mediazione religiosa. Assistenti conversazionali, sistemi di generazione vocale e interfacce digitali vengono adattati alle tradizioni locali e reagiscono alle esigenze delle comunità, producendo pratiche che modificano l’accesso ai contenuti spirituali e alle informazioni teologiche. Da questa trasformazione emerge un intreccio tra dimensione spirituale e tecnologia che amplia il campo di studio su fede e comunicazione. Il fenomeno assume rilievo per la sua natura evolutiva: il patrimonio religioso diventa più accessibile, raggiunge persone lontane dai luoghi di culto e introduce nuove forme di apprendimento e partecipazione.

Nel Regno Unito, un gruppo di ricercatori delle università di Glasgow e Central Lancashire ha sperimentato in una chiesa storica un robot sociale con sembianze umane, dotato di un volto animato capace di dialogare con i visitatori. L’esperimento è stato progettato per verificare come le persone reagiscono a un’interazione di tipo spirituale mediata da una macchina. Il robot, chiamato Furhat, poteva parlare in più lingue e adattare le proprie risposte al tono della conversazione, offrendo informazioni sulla storia della chiesa e accogliendo turisti e fedeli. I ricercatori hanno osservato che l’accoglienza è stata generalmente positiva, soprattutto nei casi in cui il robot ha fornito risposte semplici e dirette, mantenendo un linguaggio rispettoso e neutro. La stessa tecnologia è stata poi impiegata per programmi di orientamento linguistico dedicati ai nuovi cittadini, segno che la mediazione empatica tra linguaggi e culture costituisce uno dei terreni più promettenti dell’interazione uomo-macchina. Questa evoluzione suggerisce che le applicazioni religiose puntano a rendere la presenza umana più accessibile, integrando funzioni informative e di accoglienza.

In Germania, la città di Fürth ha ospitato una delle prime liturgie generate con l’aiuto di modelli linguistici di intelligenza artificiale. Più di trecento persone hanno partecipato a un servizio religioso in cui la predicazione, i testi delle letture e parte delle musiche erano stati elaborati con strumenti testuali e sintetizzatori vocali. L’obiettivo dichiarato dagli organizzatori era osservare come i fedeli reagivano a un linguaggio sacro prodotto da un sistema generativo, analizzando in che misura il tono e la struttura potessero essere percepiti come autentici. Le interviste successive hanno mostrato curiosità e apertura, ma anche l’esigenza di mantenere un contesto umano di supervisione. I teologi coinvolti nel progetto hanno sottolineato che l’esperimento non intendeva creare un nuovo modello di culto, bensì esplorare come la tecnologia potesse aiutare a rendere più comprensibili i testi, ad esempio attraverso traduzioni simultanee o adattamenti linguistici per i giovani. Queste applicazioni stanno diventando sempre più rilevanti per le comunità multilingue europee, dove la comunicazione accessibile è un valore pastorale.

Un altro esperimento significativo si è svolto in Svizzera, dove in una cappella di Lucerna è stato collocato per alcune settimane un avatar digitale di Gesù. L’iniziativa, nata da un gruppo di ricercatori e artisti, permetteva ai visitatori di entrare in un confessionale virtuale e porre domande in diverse lingue. Il sistema elaborava risposte basate su testi biblici e teologici, cercando di mantenere un tono coerente con la tradizione cristiana. Le conversazioni raccolte sono state migliaia e hanno mostrato come, di fronte a un’interfaccia artificiale, molte persone si sentano più libere di porre domande delicate o di condividere esperienze personali. Al termine della prova il dispositivo è stato rimosso, ma i dati ottenuti sono stati ritenuti preziosi per la ricerca sul linguaggio religioso e sulla relazione emotiva con le tecnologie vocali.

Nel contesto buddhista l’incontro tra tradizione e innovazione è avvenuto già da diversi anni. In Cina, presso il tempio di Longquan, il robomonk Xian’er ha risposto a migliaia di domande di giovani visitatori, proponendo insegnamenti tratti dai sutra e consigli morali di base. Il progetto è stato descritto dai monaci come un ponte tra generazioni, utile a riavvicinare chi vive immerso nel mondo digitale. In Giappone, al tempio Kodaiji di Kyoto, l’androide Mindar recita il Sutra del Cuore durante cerimonie pubbliche. I visitatori percepiscono l’esperienza come una forma di meditazione guidata, dove il linguaggio sintetico diventa un mezzo di contemplazione. Gli studi condotti dopo le prime sessioni indicano che, pur riconoscendo il valore estetico e simbolico, i fedeli continuano ad attribuire maggiore autorità alle figure umane. Questo equilibrio tra interesse e distanza mostra che l’AI può essere uno strumento di supporto spirituale, ma la connessione emotiva rimane legata alla presenza viva del maestro.

Nelle comunità islamiche, soprattutto in Arabia Saudita, sono in corso sperimentazioni orientate all’assistenza logistica e informativa dei pellegrini. Alla Moschea della Mecca, robot mobili e chioschi digitali rispondono in molte lingue a domande su riti, direzioni di preghiera e servizi. Gli sviluppatori puntano a semplificare la comunicazione con i milioni di fedeli che ogni anno partecipano all’hajj, offrendo risposte uniformi e basate su fonti ufficiali. L’intelligenza artificiale in questo contesto viene quindi impiegata come supporto linguistico e organizzativo, in linea con l’obiettivo di garantire ordine e accessibilità. In parallelo, diverse app islamiche utilizzano modelli linguistici per offrire spiegazioni su passi del Corano e per accompagnare la recitazione, mantenendo sempre la distinzione tra assistenza digitale e autorità degli studiosi.

Negli ultimi anni anche la Polonia ha promosso un progetto di cappella interattiva dove un sistema AI risponde alle domande dei visitatori su Bibbia e catechismo. L’interfaccia è attivata da un leggio digitale e utilizza un modello linguistico addestrato esclusivamente su testi religiosi approvati. Il sacerdote che ha avviato l’esperimento ha definito l’iniziativa come una forma di divulgazione controllata, pensata per rendere più naturale il dialogo sui temi della fede, senza sostituire l’insegnamento diretto. Secondo i primi dati raccolti, molti utenti hanno espresso apprezzamento per la chiarezza e la neutralità del linguaggio, soprattutto chi era in difficoltà nel porre domande personali a un ministro. L’esperienza suggerisce che le tecnologie conversazionali possono favorire un rapporto più sereno con i temi religiosi, quando vengono progettate in ambienti regolati e accompagnate da una guida umana.

Accanto ai casi istituzionali, cresce un vasto ecosistema di applicazioni dedicate alla consultazione e allo studio personale. Nella sfera cattolica alcune piattaforme utilizzano grandi archivi digitali del magistero per generare risposte citando documenti e encicliche. Altre, rivolte ai laici, offrono strumenti di meditazione e ricerca testuale che facilitano la comprensione dei testi biblici. Nel mondo islamico, sviluppatori di diversi Paesi hanno creato assistenti vocali capaci di rispondere a domande quotidiane sui precetti religiosi, con un’attenzione particolare alle lingue minoritarie. Queste applicazioni svolgono funzioni didattiche, contribuendo a un fenomeno di alfabetizzazione spirituale digitale che può rafforzare la conoscenza e la coesione comunitaria. Gli esperti sottolineano l’importanza di comunicare con chiarezza la natura non sostitutiva di questi strumenti, che devono rimanere supporti di informazione e non guide dottrinali autonome.

Osservando nel complesso queste esperienze emerge un quadro in cui la collaborazione tra scienza, tecnologia e religione si fa sempre più sistematica. I risultati più convincenti derivano da progetti che mantengono una cornice rigorosa: un ambito definito, un corpus trasparente di testi e una supervisione attiva. Nei contesti di accoglienza e orientamento linguistico, i robot e i chatbot migliorano la comprensione e abbattono barriere culturali. Nei contesti di predicazione e guida spirituale, invece, la ricerca segnala che l’efficacia comunicativa resta legata alla presenza di un interlocutore umano. La prospettiva più realistica sembra quindi quella di una collaborazione in cui la tecnologia potenzia la capacità di trasmettere conoscenze e messaggi, lasciando invariato il ruolo centrale delle persone.

Per le comunità religiose che intendono avviare esperimenti di questo tipo, le esperienze raccolte indicano alcune buone pratiche. È utile stabilire sin dall’inizio il perimetro d’uso, dichiarare la provenienza dei testi impiegati, comunicare apertamente i limiti delle risposte e mantenere una revisione continua del contenuto. La trasparenza rafforza la fiducia e rende il pubblico partecipe del processo di sperimentazione. I dati raccolti possono poi essere utilizzati per migliorare la qualità delle interazioni e comprendere meglio come cambia la percezione del linguaggio religioso in presenza di una macchina. Questo tipo di ricerca, condotta in modo rispettoso e controllato, apre la strada a una nuova forma di collaborazione interdisciplinare tra teologia, informatica e scienze cognitive.