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Il New York Times, dopo le battaglie contro l’AI, si piega: basta un assegno di Amazon

Per diversi anni il New York Times ha incarnato l’idea di una stampa disposta a tutto pur di difendere la propria centralità nell’ecosistema informativo globale. Si è schierato in prima linea contro l’ascesa dell’intelligenza artificiale, scegliendo la via del confronto acceso a suon di cause legali e articoli dal tono allarmato, puntando il dito contro quella che veniva percepita come una “sottrazione” sistematica dei propri contenuti da parte delle grandi aziende tecnologiche. La causa clamorosa intentata contro OpenAI e Microsoft ha infiammato il dibattito pubblico, ma dietro la spettacolarizzazione dello scontro è sempre rimasto il sospetto che si trattasse di una battaglia dal risultato incerto, quasi una partita giocata più per alzare la posta che per sperare in una reale vittoria.

Proprio mentre le aule dei tribunali sono ancora animate da questa contesa, e mentre il Times mantiene viva la retorica della difesa intransigente del giornalismo, arriva una notizia che sembra smentire il copione: il quotidiano accetta di concedere in licenza ad Amazon il suo archivio editoriale, comprendente articoli, ricette e interi settori tematici come lo sport, mettendo di fatto il proprio patrimonio a disposizione delle piattaforme di intelligenza artificiale di Seattle. Un passaggio di testimone che profuma di resa, almeno agli occhi dei più critici, soprattutto considerando che la cifra ottenuta difficilmente può essere considerata impegnativa per un’azienda del calibro di Amazon. In un contesto in cui i valori di mercato delle grandi piattaforme si misurano in trilioni di dollari, la sensazione è che questa trattativa abbia prodotto per il Times più un tozzo di pane che una cifra davvero significativa.

Il management del New York Times ha presentato l’accordo come una vittoria di principio: “Il nostro giornalismo va pagato”, è il mantra ripetuto per rassicurare lettori e redazione. Tuttavia, questa dichiarazione suona più come un tentativo di spiegare una decisione inevitabile che come il frutto di una vera conquista. Dopo mesi di campagne pubbliche contro le intelligenze artificiali e i presunti furti perpetrati dagli algoritmi, ora il giornale accetta di monetizzare i propri contenuti, anche se le condizioni non sembrano affatto dettate dalla forza negoziale, ma piuttosto dalla necessità di adattarsi a una realtà ormai ineludibile. Si respira, in tutto questo, il senso di un cambiamento epocale, dove i grandi quotidiani sono costretti ad abbandonare le barricate dell’autonomia assoluta per sedersi al tavolo delle trattative, pronti ad accettare un compenso che, per le dimensioni delle big tech, resta comunque modesto.

Se si guarda oltre le dichiarazioni ufficiali, ciò che emerge è una dinamica tipica del nuovo capitalismo dei dati e dei contenuti: le cause legali non sono quasi mai strumenti per bloccare davvero lo sviluppo tecnologico, quanto piuttosto leve di pressione per ottenere condizioni meno sfavorevoli quando arriva il momento di trattare con i veri padroni del gioco. Il New York Times, come altre testate di prestigio, è costretto a prendere atto che il proprio futuro – e forse la stessa sopravvivenza economica – passa anche attraverso accordi di questo tipo. In questa prospettiva, non c’è tanto una sconfitta, quanto una presa di coscienza della posizione effettiva dei media tradizionali di fronte a colossi che ridefiniscono quotidianamente le regole dell’informazione e del business.

Ma il quadro non è solo quello di una resa: questo passaggio segna anche l’ingresso in una fase più matura del rapporto tra informazione e tecnologia. Il futuro dell’informazione, infatti, comincia davvero a intrecciarsi con le possibilità offerte dalle intelligenze artificiali generative. Persino i più rigorosi difensori dell’etica editoriale si trovano oggi a dialogare e collaborare con esse. La strada della chiusura totale non sembra più praticabile; al contrario, innovare e sperimentare modelli di cooperazione consente ai giornali di essere ancora protagonisti – anche se in una posizione differente rispetto al passato – nella costruzione dell’ecosistema informativo del futuro.

Così, quella che a prima vista potrebbe sembrare una svendita, si rivela in realtà il tentativo di assicurare una presenza stabile e riconoscibile all’interno di un panorama che cambia a velocità impressionante. In definitiva, la vera sfida per il New York Times e per tutta l’editoria sarà proprio questa: trovare la formula per restare rilevanti nell’era dell’intelligenza artificiale, non solo cedendo contenuti, ma contribuendo a definire – anche attraverso scelte come questa – la fisionomia della nuova informazione digitale.