L’intelligenza artificiale generativa è emersa in pochissimo tempo come forza trasversale capace di trasformare numerosi settori professionali. Basti pensare che ChatGPT ha raggiunto 100 milioni di utenti mensili in soli due mesi dal lancio – più velocemente di qualsiasi altra applicazione internet nella storia. Le aziende tecnologiche e gli investitori hanno colto immediatamente il potenziale di questa rivoluzione, alimentando una crescita esponenziale: si stima infatti che l’impatto economico dell’AI possa raggiungere i 15,7 trilioni di dollari entro il 2030, una cifra vicina all’intero PIL cinese. In questo contesto, vale la pena analizzare in dettaglio come l’AI generativa stia incidendo attualmente su diversi ambiti professionali – dal lavoro concettuale e creativo, all’editoria (giornalistica e libraria), fino all’istruzione e alla medicina – e quale scenario futuro si prospetta da qui al 2030 in termini di suddivisione del lavoro tra intelligenze artificiali e intelligenze umane.
Lavori concettuali e di strategia
Nei settori concettuali – che includono pensatori, ricercatori, analisti e strategist – l’AI generativa sta già svolgendo un ruolo di supporto rilevante e in rapida evoluzione. In meno di un anno dall’avvento di strumenti come ChatGPT, l’adozione tra i knowledge workers è diventata massiccia: un sondaggio globale condotto a metà 2023 mostra che il 79% dei professionisti aveva già avuto almeno un certo grado di esposizione a queste tecnologie e il 22% le utilizzava regolarmente nel proprio lavoro. Ciò significa che molte attività intellettuali – dalla stesura di report alla ricerca di informazioni – vengono ora almeno in parte demandate a modelli generativi. Ad esempio, l’AI può riassumere documentazione complessa, produrre bozze di testi strategici o analizzare grandi moli di dati testuali, consentendo ai professionisti di concentrarsi maggiormente sulle decisioni critiche. Diverse aziende leader confermano questa tendenza: circa un terzo delle organizzazioni intervistate da McKinsey nel 2023 dichiarava di usare regolarmente sistemi di AI generativa in almeno una funzione aziendale, segno che anche a livello dirigenziale se ne riconosce il valore trasversale.
Un aspetto di notevole interesse è l’impatto sulla produttività e la natura del lavoro intellettuale. Studi sperimentali iniziano a misurare i benefici tangibili: nell’ambito del customer service, ad esempio, l’introduzione di un assistente conversazionale basato su AI generativa ha aumentato del 15% il numero di richieste risolte per ora dagli operatori, con miglioramenti particolarmente marcati per i lavoratori meno esperti. Anche in lavori di analisi e scrittura, risultati preliminari indicano riduzioni significative dei tempi di completamento dei compiti e una qualità dell’output spesso paragonabile (se non superiore) a quella umana. Tali evidenze confermano ciò che molti manager percepiscono: i settori “knowledge intensive” sono destinati a trarre enorme vantaggio dall’AI generativa, tanto che le industrie più basate sul capitale intellettuale prevedono incrementi di produttività notevoli. Ad esempio, nel banking e nel settore farmaceutico l’adozione di questi strumenti potrebbe generare valore aggiuntivo equivalente fino al 5% dei ricavi globali di settore. In breve, compiti che richiedono sintesi di conoscenze, elaborazione di informazioni o perfino alcune forme di decision-making vengono ora svolti in parte dalle macchine. Attività prima considerate troppo complesse e sottili per l’automazione stanno diventando automatizzabili: secondo le analisi di McKinsey, il “potenziale tecnico” per automatizzare l’applicazione di competenze specialistiche è aumentato di 34 punti percentuali grazie ai progressi dell’AI generativa. È un cambio di paradigma storico: per la prima volta l’automazione impatta con forza crescente sui lavori altamente qualificati, invertendo il trend delle precedenti rivoluzioni tecnologiche che colpivano soprattutto le mansioni manuali o di basso profilo. In pratica, ricercatori, consulenti e professionisti concettuali dispongono ora di “colleghi digitali” in grado di svolgere bozze di analisi, formalizzare idee in testi coerenti e persino suggerire nuove prospettive attingendo da enormi basi di conoscenza. Il risultato è una collaborazione uomo-macchina che, se ben orchestrata, libera tempo per la creatività strategica umana e aumenta l’efficienza complessiva dei processi di pensiero complesso.
Lavori creativi e artistici
Anche i settori creativi e artistici sono stati travolti dall’ondata dell’AI generativa, che oggi affianca autori, designer, musicisti e artisti visivi nei loro processi creativi. La capacità di questi modelli di generare contenuti originali – testi, immagini, musica – a partire da semplici prompt testuali ha aperto scenari impensabili fino a pochi anni fa. Nel campo delle arti visive e del design, ad esempio, strumenti come DALL-E, Midjourney o Adobe Firefly permettono di ottenere illustrazioni e bozze grafiche in pochi secondi. La risposta del pubblico creativo è stata immediata: in soli 12 mesi gli utenti di Adobe Firefly hanno generato oltre 6,5 miliardi di immagini utilizzando l’AI. Ciò testimonia come illustratori, grafici e art director stiano integrando massicciamente queste tecnologie nel proprio flusso di lavoro, sfruttandole per esplorare varianti visive, creare concept art o velocizzare attività di fotoritocco. Le aziende del settore non a caso investono per incorporare l’AI nei loro prodotti: le suite Adobe, Autodesk e analoghe piattaforme creative ora offrono funzionalità di generazione automatica che estendono le capacità umane (ad esempio generando sfondi, effetti o bozze da rifinire), facendo risparmiare tempo e favorendo la sperimentazione.
Nel mondo della musica, l’impatto è altrettanto evidente. Modelli generativi addestrati su database di suoni possono comporre brani strumentali o imitare stili musicali su comando, dando vita a un nuovo modo di produrre contenuti audio. Piattaforme di streaming come Deezer hanno visto un’impennata di caricamenti di tracce interamente generate dall’AI: ad aprile 2025 circa il 18% dei brani caricati su Deezer risultava creato interamente da sistemi di AI, con oltre 20.000 nuove tracce di questo tipo aggiunte ogni giorno. Si tratta di un volume quasi raddoppiato nel giro di quattro mesi, segno di una crescita esplosiva. Molti di questi brani sono prodotti da appassionati sperimentatori o da software di composizione automatica messi a disposizione del grande pubblico, ma anche professionisti e case discografiche stanno esplorando l’uso dell’AI per generare melodie di base, jingle o accompagnamenti da rifinire poi in studio. L’AI può infatti sfornare innumerevoli variazioni su un tema musicale, tra cui il compositore umano può selezionare gli spunti più interessanti da sviluppare: una sorta di “brainstorming sonoro” continuo e instancabile al servizio della creatività musicale.
Per quanto riguarda la produzione di contenuti narrativi e audiovisivi, l’AI generativa sta muovendo i primi passi ma ha già lasciato il segno. Nel 2023 ha fatto discutere il caso di alcuni racconti e illustrazioni generati da AI che sono stati presentati in concorsi artistici e letterari, talvolta vincendoli, sollevando dibattiti sull’autorialità. Nel cinema, l’AI viene sperimentata per il montaggio video, la sceneggiatura e gli effetti speciali: ad esempio, in diversi film candidati agli Oscar 2023 si è fatto uso di AI generativa in alcune fasi della post-produzione, e gli studios di Hollywood hanno iniziato a valutarne l’impiego per creare anteprime di sceneggiature o storyboard a partire da descrizioni sommarie. Queste applicazioni hanno già innescato un confronto nell’industria dell’intrattenimento sul ruolo dell’automazione creativa. Molti artisti sottolineano come l’AI possa essere uno strumento potente per aumentare la creatività umana: uno scrittore può utilizzarla per elaborare varianti di trama o uno sceneggiatore per generare dialoghi alternativi da cui trarre ispirazione. Allo stesso tempo, emergono esigenze di ridefinire le norme su copyright e proprietà intellettuale (tema che però esula da questa analisi). Complessivamente, l’attuale impatto nei lavori creativi è duplice: da un lato l’AI alleggerisce compiti ripetitivi (come creare versioni preliminari o riempitivi), dall’altro offre nuovi mezzi espressivi – basti pensare alla possibilità per un singolo artista di orchestrare un brano o visualizzare un concept art senza bisogno di competenze tecniche specialistiche, semplicemente descrivendo all’AI la propria visione. Così facendo, l’intelligenza artificiale generativa sta democratizzando l’accesso alla creatività e cambiando gli strumenti del mestiere per designer, musicisti e artisti di ogni genere.
Editoria giornalistica e libraria
Nel panorama dell’editoria e del giornalismo, l’AI generativa si sta affermando come alleato per ottimizzare i flussi di lavoro e, in misura crescente, anche come autore di contenuti di base. Nelle redazioni giornalistiche di tutto il mondo, infatti, l’uso di strumenti come ChatGPT o sistemi analoghi viene sperimentato in molteplici attività: secondo un sondaggio globale condotto nel 2023 dal progetto JournalismAI, la maggior parte delle testate ha già provato ad utilizzare tecnologie generative per compiti come scrivere codice per analisi dati, riassumere testi, migliorare titoli o ottimizzare la SEO, più che per redigere articoli veri e propri. Un caporedattore intervistato ha descritto ChatGPT come un “compagno di battute” da interpellare per stimolare la creatività nelle riunioni di brainstorming. Questo indica che l’AI viene vista in primo luogo come strumento per potenziare il lavoro dei giornalisti, non per sostituirli. Oltre metà delle redazioni interpellate ha dichiarato di puntare sull’AI per automatizzare le mansioni ripetitive e semplificare i workflow, così da liberare i giornalisti e consentire loro di dedicarsi ad attività “più creative, rilevanti e innovative”. Ad esempio, compiti routinari come la trascrizione di interviste, il controllo ortografico, la traduzione di brevi dispacci o la produzione di schede riassuntive di dati finanziari possono essere delegati a sistemi automatici, riducendo carichi di lavoro noiosi. Grandi agenzie di stampa internazionali già da anni generano in automatico notizie strutturate (come risultati sportivi o report finanziari trimestrali) attraverso sistemi di Natural Language Generation; la novità è che ora modelli più avanzati consentono anche di redigere bozze di articoli più articolati. Nel 2023 alcune testate hanno iniziato a pubblicare contenuti realizzati in parte dall’AI – ad esempio brevi pezzi di cronaca locale o articoli di servizio basati su dati – sempre supervisionati e revisionati da giornalisti umani prima della diffusione. Questo uso “ibrido” sta diventando una prassi: l’AI produce un primo draft e il giornalista lo rifinisce, verificando i fatti e aggiungendo il tocco narrativo ed editoriale necessario.
L’editoria libraria non è immune a questi cambiamenti, anzi. La facilità d’uso di strumenti generativi sta abbassando le barriere alla creazione di libri e pubblicazioni. È emblematico il boom di libri auto-pubblicati con l’aiuto di ChatGPT: già a febbraio 2023 si contavano oltre 200 e-book sull’Amazon Kindle Store che elencavano ChatGPT come autore o coautore, tra manuali pratici, racconti e raccolte di poesie, e il numero cresceva di giorno in giorno. In altre parole, aspiranti scrittori senza esperienza pregressa stanno sfruttando l’AI per generare testi integralmente – spesso storie brevi o libri per bambini – da proporre sul mercato digitale. Alcune case editrici tradizionali stanno a loro volta iniziando a utilizzare l’intelligenza artificiale come co-sceneggiatore: ad esempio per analizzare tendenze e preferenze del pubblico e suggerire agli autori umani linee narrative di successo, oppure per creare rapidamente sinossi e quarte di copertina a partire dal manoscritto. Nell’industria editoriale la generativa viene impiegata anche per localizzare contenuti (traduzioni automatiche sempre più raffinate, da rivedere poi da traduttori professionisti) e per la produzione di materiali promozionali (come descrizioni, estratti e schede libro generate automaticamente).
È chiaro comunque che, almeno allo stato attuale, nel giornalismo e nell’editoria l’AI agisce soprattutto come acceleratore e assistente. Le notizie di qualità e i libri di successo continuano a richiedere la sensibilità, l’etica professionale e la creatività di redattori, scrittori ed editor umani. Tuttavia, gran parte del “dietro le quinte” – dalla preparazione di bozze, alla ricerca documentale, fino ad alcune forme di scrittura formulaica – può essere sveltita dall’automazione intelligente. Molte redazioni e case editrici stanno quindi ridefinendo i flussi di lavoro in un’ottica di collaborazione uomo-macchina: il contenuto grezzo o gli spunti vengono generati dall’AI, mentre il controllo, l’arricchimento e la contestualizzazione restano in mano all’uomo. In prospettiva, man mano che i modelli miglioreranno, potremmo vedere articoli di cronaca minore e romanzi di genere creati quasi interamente dall’AI, con un ruolo umano focalizzato su supervisione e perfezionamento stilistico. Già oggi le direzioni editoriali pongono attenzione a stabilire policy sull’uso di questi strumenti (solo il 21% delle organizzazioni con AI ad oggi ha policy definite, ma la percentuale è in aumento), a testimonianza del fatto che l’AI generativa è entrata stabilmente anche nel mondo dei media scritti.
Istruzione e formazione
In ambito educativo – dalle scuole elementari all’università, fino alla formazione professionale e privata – l’avvento dell’AI generativa sta portando cambiamenti significativi sia nelle modalità di insegnamento sia in quelle di apprendimento. Inizialmente percepita da alcuni come una minaccia (soprattutto per il timore che gli studenti la usassero per barare nei compiti), questa tecnologia viene sempre più riconosciuta anche per le sue potenzialità didattiche. Un dato illuminante proviene dagli Stati Uniti: oltre la metà degli insegnanti delle scuole K-12 ha già utilizzato ChatGPT a scopo educativo, una quota (51%) sorprendentemente superiore a quella degli stessi studenti (33%). Questo risultato, emerso da un ampio sondaggio nazionale, capovolge lo stereotipo secondo cui l’AI generativa sarebbe solo una scorciatoia per allievi pigri osteggiata dai docenti. Al contrario, molti insegnanti stanno abbracciando lo strumento come un nuovo alleato in classe. Il 30% dei docenti intervistati lo ha impiegato per pianificare lezioni o elaborare più rapidamente materiali didattici; una percentuale analoga lo ha sfruttato per farsi suggerire idee creative su attività da proporre agli studenti, e un altro 27% lo ha usato per ottenere rapidamente riferimenti e background su determinati argomenti di lezione. In pratica, ChatGPT funge da assistente didattico: può generare quiz, schede riassuntive, esempi di problemi, o semplificare la spiegazione di concetti complessi adattandoli al livello della classe. Questo aiuta gli insegnanti a risparmiare tempo nella preparazione e a diversificare le proprie lezioni con spunti originali. Molti docenti riferiscono che la presenza di un “tutor virtuale” pronto 24/7 ha un impatto positivo anche sulla loro creatività e sul modo di coinvolgere gli studenti.
Dal lato degli studenti, l’AI generativa viene accolta con curiosità e sempre maggiore entusiasmo come strumento di apprendimento personalizzato. Nello stesso sondaggio, il 75% degli studenti (12-17 anni) ha affermato che strumenti come ChatGPT possono aiutarli ad imparare più velocemente, e il 68% ritiene che li possa rendere studenti migliori. Ciò riflette un aspetto chiave: modelli linguistici avanzati permettono agli studenti di colmare dubbi istantaneamente ponendo domande e ricevendo spiegazioni immediate, come farebbero con un tutor privato, ma accessibile in qualsiasi momento. Ad esempio, uno studente di liceo può chiedere all’AI di chiarire un passaggio difficile di una poesia o di rispiegare un teorema matematico con parole diverse, finché non lo comprende appieno; uno studente universitario può usarla per ottenere un riassunto di un articolo accademico complesso prima di leggerlo integralmente, orientandosi meglio sul contenuto. In questo senso l’AI rappresenta un mentore virtuale sempre disponibile. Naturalmente resta fondamentale il ruolo dell’educatore nel guidare gli studenti a usare criticamente queste risorse e nel verificarne l’accuratezza (le AI possono commettere errori). Ma, piuttosto che vietarle, molti docenti preferiscono integrarle: quasi il 60% degli insegnanti USA concorda che “ChatGPT avrà utilizzi educativi legittimi che non possiamo ignorare”, evidenziando come la strada maestra sia insegnare a sfruttarla al meglio.
A livello globale, diversi sistemi scolastici e università stanno lanciando iniziative pilota per incorporare l’AI nell’insegnamento. In alcuni istituti superiori sono comparsi “assistenti virtuali” che aiutano gli studenti nei laboratori, rispondendo a domande frequenti, oppure chatbot formativi che interagiscono con gli iscritti a corsi online, verificando la comprensione con domande ed esercizi guidati. Alcune università hanno siglato accordi per fornire versioni personalizzate di modelli generativi ai propri studenti, così da garantire risposte più affidabili e controllate nelle attività accademiche. Anche nella formazione aziendale e nei corsi professionali l’AI generativa trova impiego: ad esempio per simulare conversazioni (utile nell’apprendimento linguistico), generare scenari di role-play, o creare quiz di verifica adattivi. Un vantaggio cruciale emerso è la personalizzazione del ritmo di apprendimento: l’AI può adattare le spiegazioni e gli esercizi in base alle risposte del discente, offrendo un livello di adattività che difficilmente un docente con molti studenti in classe potrebbe garantire a ciascuno. In sintesi, nel settore educativo l’AI generativa sta diventando sia un amplificatore delle capacità dell’insegnante (meno tempo su compiti burocratici, più tempo per gli studenti) sia uno strumento per rendere lo studente protagonista attivo, offrendogli supporto immediato su misura. La sfida per le istituzioni è ora definire linee guida chiare: molte stanno elaborando policy su come integrarla in modo etico e produttivo (ad esempio vietando l’uso per compiti valutati ma incoraggiandolo per lo studio personale, oppure includendolo nei curricula di competenze digitali). La direzione tuttavia sembra tracciata: l’istruzione del futuro vedrà umani e AI collaborare strettamente nel processo di insegnamento-apprendimento, con benefici che già iniziano a delinearsi in termini di coinvolgimento e efficacia didattica.
Medicina (medici e psicologi)
Anche nel campo della medicina e della salute l’AI generativa sta emergendo come un elemento di supporto innovativo per medici di base, specialisti e psicologi. Mentre forme di intelligenza artificiale erano già da tempo utilizzate per analizzare immagini radiologiche o dati clinici, la novità dei modelli generativi è la loro capacità di comprendere e produrre linguaggio naturale, aprendo applicazioni dirette nella pratica clinica quotidiana e nella relazione col paziente. Un indicatore significativo viene da un sondaggio recente dell’American Medical Association: nel 2024 ben due terzi dei medici statunitensi (66%) dichiaravano di utilizzare strumenti di intelligenza artificiale nella propria attività professionale – un salto impressionante rispetto al 38% appena l’anno precedente. Questo aumento del 78% in un solo anno è dovuto in gran parte alla diffusione di nuove applicazioni basate su AI generativa, che molti camici bianchi hanno iniziato a impiegare per semplificare compiti amministrativi e clinici. Alcuni esempi concreti: circa il 21% dei medici usa già l’AI per aiutarli nella documentazione di cartelle cliniche e codifiche di fatturazione (in crescita rispetto al 13% precedente), e un altro 20% la impiega per preparare lettere di dimissione, piani di cura o referti di avanzamento. Queste attività, spesso vissute come un onere burocratico sottratto al tempo da dedicare ai pazienti, possono essere svolte dall’AI in pochi secondi: il medico detta (o fornisce in input) gli elementi principali, e l’AI genera un resoconto strutturato e grammaticalmente corretto, che il medico deve solo rivedere. Allo stesso modo, funzioni di traduzione automatica (utili in contesti con pazienti multilingue) sono adottate dal 14% dei medici, e stanno migliorando la comunicazione con i pazienti che non parlano la lingua locale.
L’AI generativa trova impiego anche nel supporto diagnostico e scientifico. Circa il 12% dei clinici riferisce di usarla come ausilio nella diagnosi assistita: ciò include sistemi che, dati i sintomi e gli esami di un paziente, suggeriscono possibili diagnosi differenziali da considerare (funzionando come una sorta di “checklist intelligente” per non trascurare ipotesi). Un 13% la usa per ottenere sintesi rapide delle ultime ricerche mediche e linee guida: questo è fondamentale in una disciplina dove restare aggiornati è una sfida continua – un medico può chiedere all’AI di riassumere i risultati di nuovi studi clinici pertinenti al caso di un paziente, o di estrarre per punti le raccomandazioni chiave di un lungo documento di linea guida. Strumenti di questo tipo aiutano a colmare il gap tra pratica clinica e ricerca, fornendo in tempo reale conoscenze basate su evidenze. Un recente esperimento ha persino mostrato che ChatGPT è stato in grado di superare gli esami scritti di licenza medica (USMLE) con un punteggio superiore al 60%, dimostrando una comprensione sorprendente di vasti ambiti di medicina generale. Naturalmente questo non significa che l’AI possa sostituire il medico nel processo diagnostico (mancano esperienza contestuale e responsabilità etica), ma indica che come strumento di consultazione può risultare prezioso. Ad esempio, alcuni medici utilizzano chatbot avanzati come seconda opinione su casi complessi: dopo aver formulato una diagnosi preliminare, confrontano il proprio ragionamento con quello suggerito dall’AI per vedere se emergono spunti aggiuntivi o possibili errori da evitare. In ambito psicologico e psichiatrico, invece, si stanno sperimentando chatbot terapeutici che conversano con i pazienti fornendo tecniche di counselling di base o esercizi di terapia cognitivo-comportamentale tra una seduta e l’altra. Piattaforme digitali di supporto mentale (come Woebot, Wysa e altre) utilizzano modelli di linguaggio per dialogare con gli utenti in difficoltà emotiva, aiutandoli a riflettere e applicare strategie psicologiche apprese in terapia. Pur non potendo certo rimpiazzare il rapporto umano con lo psicoterapeuta, queste AI offrono un sostegno immediato h24 e possono alleggerire i professionisti da alcune attività di monitoraggio continuo, permettendo di intervenire solo quando necessario.
Oltre all’ambito clinico, la ricerca medica e farmaceutica trae grande vantaggio dall’AI generativa. I modelli in grado di generare molecole o progettare proteine stanno accelerando la scoperta di nuovi farmaci: algoritmi generativi possono proporre decine di migliaia di strutture chimiche potenzialmente attive contro un certo bersaglio biologico, apprendendo dalle caratteristiche di farmaci esistenti. Questo processo, chiamato generative drug design, consente di identificare in poche settimane candidati che tradizionalmente avrebbero richiesto anni di tentativi. Analogamente, nella genomica e nella biologia computazionale, strumenti di AI generativa vengono impiegati per suggerire la progettazione di nuovi vaccini o terapie geniche simulando mutazioni e interazioni. Queste innovazioni hanno convinto il settore sanitario del valore strategico dell’AI: la farmaceutica, in particolare, è annoverata tra le industrie dove l’AI generativa potrebbe apportare uno dei maggiori aumenti di produttività (fino al 5% di ricavi annui in più come valore generato). All’interno degli ospedali, intanto, si moltiplicano i progetti pilota: alcuni stanno testando assistenti virtuali per il triage (chatbot che raccolgono i sintomi dai pazienti al pronto soccorso e forniscono una prima ipotesi di gravità), altri integrano funzioni di AI nei sistemi di cartella clinica elettronica per avvisare i medici di possibili interazioni farmacologiche o per riempire automaticamente i campi del diario clinico sulla base del colloquio registrato col paziente. I vantaggi riportati includono risparmio di tempo, riduzione di errori di trascrizione e un maggiore focus del medico sul paziente durante la visita. Non a caso, il 68% dei medici si dichiara oggi più ottimista che preoccupato riguardo all’uso dell’AI in corsia, riconoscendone benefici concreti. In definitiva, in medicina l’AI generativa si sta affermando come un partner digitale: non sostituisce il giudizio clinico né l’empatia del curante, ma gestisce il flusso di informazioni e fornisce conoscenza on-demand, rendendo la pratica medica più informata, efficiente e potenzialmente anche più sicura.
Proiezione al 2030: AI autonoma, umani e collaborazione
Guardando al futuro prossimo, entro il 2030 ci si attende che l’intelligenza artificiale generativa sia diventata parte integrante della maggioranza dei lavori concettuali, creativi, informativi, educativi e medici – anche se in forme più spesso collaborative che totalmente autonome. Diversi studi e analisi convergono sull’idea che la modalità predominante sarà l’interazione sinergica tra umani e AI, piuttosto che la completa sostituzione dell’uno o dell’altro. In termini quantitativi, si può stimare – incrociando i dati attuali e le proiezioni – una ripartizione indicativa di questo tipo: circa un quarto del lavoro (25%) potrebbe essere svolto quasi interamente dalle AI generative in autonomia, allorché si tratta di compiti ben definibili e ripetitivi che le macchine sapranno svolgere con maggiore rapidità; un altro 25% circa continuerebbe ad essere eseguito in modo tradizionale dagli esseri umani, ossia tutte quelle attività per cui il fattore umano rimarrà insostituibile o per le quali l’AI ancora non offre garanzie sufficienti (si pensi alla gestione di emergenze delicate, al rapporto empatico, alla creatività veramente originale); infine, la quota maggioritaria – all’incirca il 50% del lavoro complessivo – sarebbe frutto di una stretta collaborazione tra uomo e macchina, con l’AI che fornisce suggerimenti, bozze o analisi e l’umano che guida, supervisiona e rifinisce. Questa stima è coerente con le ricerche sul futuro dell’occupazione: ad esempio, uno studio nel Regno Unito commissionato da Google prevede che il 61% dei lavori sarà “radicalmente trasformato” dall’AI (ovvero arricchito dall’automazione in molte sue mansioni), mentre solo il 31% resterà sostanzialmente “immune” all’adozione di queste tecnologie. Nello stesso studio si sottolinea che pochissime professioni verranno eliminate del tutto: anche nei settori più colpiti si stima al massimo un 4% di posti di lavoro in meno, a fronte di oltre l’80% di occupazioni potenziate dall’AI invece di essere rimpiazzate. Questo significa che lo scenario più plausibile non è un mondo in cui le macchine lavorano al posto nostro, ma un mondo in cui le macchine lavorano insieme a noi.
Va notato che queste percentuali vanno intese come stima aggregata across i vari ambiti considerati: in alcuni campi la componente autonoma dell’AI potrebbe essere maggiore (si pensi alla generazione di contenuti standardizzati o all’analisi di dati su larga scala, dove l’AI potrebbe arrivare a coprire ben più del 25% del lavoro senza intervento umano), mentre in altri l’apporto umano resterà prevalente (ad esempio nell’istruzione primaria o nell’assistenza psicologica, dove difficilmente si supererà quel 25% di automazione completa). Tuttavia, la tendenza generale è quella descritta. Anche gli economisti di Goldman Sachs hanno stimato che circa due terzi degli attuali impieghi sono esposti all’automazione da AI generativa e che per quei lavori tra il 25% e il 50% delle mansioni potrebbe effettivamente essere automatizzato nei prossimi anni – un intervallo che corrisponde appunto a una media attorno a un terzo. Allo stesso tempo, gli analisti evidenziano che emergeranno nuove mansioni e nuovi ruoli professionali proprio grazie all’AI, come è sempre avvenuto con le innovazioni tecnologiche: uno studio storico citato da Goldman nota che oltre l’85% della crescita occupazionale degli ultimi 80 anni è derivata dall’introduzione di nuove figure lavorative create dal progresso tecnologico. Pertanto, al 2030 è lecito attendersi non una disoccupazione di massa causata dalle “macchine pensanti”, ma piuttosto una evoluzione dei profili professionali: i lavori concettuali integreranno competenze di gestione dell’AI (il ricercatore dovrà saper porre i giusti prompt e verificare l’output del modello); i creativi diventeranno in parte curatori dell’output generato dall’AI, mantenendo il timone dell’ispirazione; i giornalisti e gli editor saranno sempre più editori di contenuti grezzi prodotti dall’AI; gli insegnanti guideranno classi aumentate da tutor virtuali; i medici assumeranno il ruolo di “supervisori strategici” di diagnosi e terapie proposte anche dall’intelligenza artificiale.
In conclusione, la proiezione al 2030 delinea un ecosistema lavorativo dove l’AI generativa svolge molta parte delle attività operative e di supporto, gli esseri umani concentrano il proprio intervento sulle dimensioni di alta levatura (creatività, empatia, giudizio, leadership) e una vasta fascia di compiti viene realizzata attraverso la cooperazione attiva tra le due intelligenze. Le percentuali ipotizzate – 25% AI autonoma, 25% umano tradizionale, 50% collaborazione – vanno interpretate con flessibilità, ma aiutano a visualizzare l’equilibrio futuro. Importante è che le organizzazioni e i professionisti sin da ora si preparino a questo modello ibrido, sviluppando sia le capacità tecniche per usare efficacemente gli strumenti generativi, sia le qualità umane distintive che resteranno cruciali. In uno scenario simile, l’AI generativa diventa un moltiplicatore di forza lavoro, non un semplice rimpiazzo: potrà assolvere compiti in autonomia dove opportuno, ma soprattutto affiancherà l’uomo, amplificandone talento e produttività. Come evidenziato, la stragrande maggioranza dei mestieri non scomparirà bensì sarà ridefinita ed esaltata dall’AI – un percorso di trasformazione che, se guidato con lungimiranza, potrebbe condurre a lavori più creativi, più produttivi e persino più gratificanti sia per le persone sia per la società nel suo insieme.