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Nel suo post The Gentle Singularity, Sam Altman descrive il momento attuale come un punto di non ritorno nello sviluppo dell’intelligenza artificiale: siamo già oltre l’event horizon, la soglia oltre la quale la trasformazione diventa inevitabile e inarrestabile. Nonostante il mondo non sia ancora popolato da robot che camminano tra noi o da intelligenze artificiali che dominano ogni aspetto della nostra vita quotidiana, sono già disponibili sistemi digitali più intelligenti degli esseri umani in diversi compiti specifici. Questi sistemi stanno ampliando in modo significativo le capacità produttive delle persone e delle aziende.

L’autore sottolinea che i passi più difficili della ricerca sono già stati compiuti, soprattutto sul piano tecnico e scientifico. I prossimi anni vedranno l’arrivo di agenti software in grado di svolgere lavoro cognitivo (2025), sistemi capaci di generare nuove scoperte (2026) e, probabilmente, robot che agiscono nel mondo reale (2027).

La trasformazione non riguarderà solo il lavoro, ma la capacità di ognuno di creare software, arte, nuove imprese, rendendo la produttività individuale del 2030 radicalmente diversa rispetto a quella del 2020. Tuttavia, molti aspetti essenziali della vita — come l’amore, il gioco, la creatività — rimarranno centrali e riconoscibili, anche in un mondo profondamente cambiato dalla tecnologia.

Altman individua due elementi chiave che stanno diventando sempre più abbondanti: intelligenza (capacità di risolvere problemi, produrre idee) ed energia (capacità di realizzare quelle idee). Storicamente, la scarsità di queste due risorse ha limitato il progresso umano; la loro abbondanza apre prospettive quasi illimitate.

La velocità del progresso sta accelerando: la ricerca assistita dall’AI rende i ricercatori due o tre volte più produttivi, ma soprattutto permette una forma embrionale di auto-miglioramento, dove l’intelligenza artificiale contribuisce a sviluppare una versione ancora più avanzata di sé stessa. Si sta innescando un ciclo di crescita esponenziale, favorito anche dalla possibilità di automatizzare la produzione di datacenter e robot.

Altman sostiene che, man mano che i costi dell’intelligenza convergeranno verso il semplice costo dell’elettricità, il cambiamento sarà ancora più rapido e accessibile. Il progresso creerà nuove sfide sociali (ad esempio la scomparsa di molte professioni), ma genererà anche una ricchezza tale da consentire soluzioni e contratti sociali prima impensabili.

Le persone, sostiene Altman, sapranno adattarsi: nuove professioni, nuove esigenze, nuovi desideri emergeranno, come già avvenuto dopo le rivoluzioni industriali. L’aspetto più “umano” — la nostra capacità di prenderci cura degli altri e di dare valore alle relazioni — rimarrà centrale anche in un mondo dominato da macchine.

Guardando avanti, Altman prevede un ritmo di scoperte sempre più accelerato, con progressi che potranno spingersi in territori oggi solo immaginabili: dalla fisica alla colonizzazione dello spazio, dalle neuroscienze a interfacce cervello-macchina di nuova generazione.

Il testo si chiude su una riflessione strategica: la sfida cruciale sarà risolvere il problema dell’allineamento (cioè far sì che le AI perseguano effettivamente ciò che desideriamo come collettività) e distribuire in modo ampio e non centralizzato l’accesso all’intelligenza artificiale. La società dovrà decidere collettivamente quali limiti e quali libertà concedere agli utenti, con una conversazione globale su questi temi che dovrebbe iniziare il prima possibile.

Secondo Altman, il mondo sta costruendo un “cervello” digitale universale, altamente personalizzabile e accessibile, che potrà realizzare qualunque buona idea. OpenAI si definisce principalmente come un’azienda di ricerca sulla superintelligenza, e considera la fase più oscura del percorso ormai superata.

L’obiettivo, conclude, è arrivare a un’intelligenza “troppo economica per essere misurata”, cioè largamente disponibile, con una crescita esponenziale ma “gentile”, priva di sconvolgimenti incontrollabili.