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l’AI accelera ma il gender gap resta: un’indagine tra Italia, UE e USA sul ruolo delle donne

Dalla fine del 2022, con l’avvento di ChatGPT e di altre AI generative, si è accentuata l’attenzione sul ruolo delle donne nel settore tecnologico e nei percorsi STEM. Numerosi studi evidenziano che, nonostante le potenzialità di cambiamento, rimane un forte gender gap nell’AI. A livello globale, le donne rappresentano solo circa il 30% della forza lavoro dedicata all’intelligenza artificiale. Analogamente, report internazionali segnalano che le donne costituiscono meno di un terzo degli addetti al campo dell’AI. In Europa, solo il 22% delle posizioni nelle aziende tecnologiche è occupato da donne, quota su cui influisce la scarsa presenza femminile nei ruoli tecnici. In Italia emerge una sfida ancora più leggera ma significativa: l’ISTAT rileva che appena il 15,7% degli specialisti ICT sono donne, e lo 0,3% delle laureate ha un titolo in materie informatiche (contro l’1,2% degli uomini). Anche nei livelli di vertice delle aziende tech la presenza femminile resta ridotta: ad esempio, secondo fonti di settore alle donne spetta solo il 29% delle posizioni dirigenziali in Amazon (45% del personale complessivo) e il 28% in Google. In sintesi, la rappresentanza femminile nello sviluppo tecnologico è inferiore alla media: mentre in Europa le donne sono il 41,0% della forza lavoro tra scienziati e ingegneri, in Italia questa percentuale scende al 34,1%. Negli Stati Uniti la situazione è lievemente migliore, con circa il 35% dei lavoratori del settore tech di sesso femminile, ma in ambedue i contesti le donne rimangono minoranza, anche in ruoli di leadership.

Anche nell’adozione dell’AI generativa emerge un forte divario di genere. Studi recenti mostrano che le donne utilizzano meno spesso strumenti come ChatGPT sia a livello professionale che individuale. In un’indagine su oltre 100mila lavoratori danesi appartenenti a 11 professioni, solo il 33% delle insegnanti intervistate ha dichiarato di usare ChatGPT al lavoro, contro il 50% dei colleghi di sesso maschile. Allo stesso modo, un rapporto della Banca Internazionale dei Regolamenti segnala che il 50% degli uomini del campione ha usato l’AI negli ultimi 12 mesi, contro solo il 37% delle donne. A livello statunitense, i dati Deloitte (2024) confermano questa tendenza: nel 2023 l’11% delle donne intervistate aveva sperimentato l’AI generativa (verso il 20% degli uomini). Nel 2024 la quota è salita al 33% per le donne (vs 44% per gli uomini), segnalando una rapida crescita, ma ancora una differenza a doppia cifra. Nonostante il progresso, Deloitte prevede di raggiungere la parità di adozione fra i sessi negli USA entro la fine del 2025. In linea con questi dati, emerge un fenomeno chiamato “technology trust gap”: le donne si mostrano meno fiduciose degli uomini nel fatto che i fornitori di AI proteggano adeguatamente i loro dati, il che può ostacolare l’uso quotidiano degli strumenti generativi. In altre parole, benché in contesti come gli ambienti universitari italiani l’interesse verso l’AI sia molto elevato (un sondaggio del 2025 su 3.600 studenti universitari rileva che il 76% usa strumenti di AI generativa), a livello di lavoro e di competenze consolidate le donne tendono a ritrovarsi in difficoltà. In effetti gli studi indicano che le donne sono più propense degli uomini a segnalare di avere bisogno di formazione specifica per usare l’AI, condizione che limita la loro sperimentazione.

La partecipazione delle donne nei percorsi formativi STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) e ICT riflette anch’essa notevoli squilibri. A livello europeo, nel 2021 circa il 32,8% dei laureati nei campi STEM era di sesso femminile, con punte superiori al 40% in paesi come Romania e Polonia. Sorprendentemente, l’Italia raggiunge una delle quote più alte dell’UE: il 39,0% dei laureati STEM sono donne. Tuttavia questo valore va contestualizzato: in Italia il totale dei laureati STEM rimane basso rispetto alla media europea, e in particolare negli indirizzi strettamente tecnologici il gender gap è ancora marcato. Per esempio, solo il 14,9% dei laureati in informatica/ICT in Italia è donna. Dato ancor più eloquente, l’ISTAT sottolinea che soltanto lo 0,3% delle donne laureate italiane proviene da percorsi ICT (rispetto all’1,2% degli uomini). Nei corsi di ingegneria e informatica, quindi, la presenza femminile è ancora trascurabile. Negli Stati Uniti la situazione appare simile: secondo il National Science Foundation, solo il 21,3% dei laureati in informatica e il 22% di quelli in ingegneria sono donne. Nel complesso il settore accademico riflette questi squilibri di partenza: secondo Eurostat il 41% dell’occupazione tecnica e scientifica nell’UE è femminile, ma le laureate nei campi più “tecnici” (come engineering, ICT, data science) restano minoranza. Anche le donne italiane nelle scuole superiori mostrano competenze digitali inferiori a quelle maschili: l’ISTAT rileva un divario di competenze informatiche del 3,1% a sfavore delle ragazze, un ulteriore fattore che alimenta la minore scelta di indirizzi tecnici e informatici da parte delle studentesse.

Di fronte a questi dati, crescono le iniziative di inclusione e formazione. A livello europeo la Commissione ha evidenziato che «solo 1 donna su 6» è specialista informatico e «1 laureata STEM su 3» è donna. Per colmare il gap, il piano UE punta entro il 2030 ad avere 20 milioni di specialisti ICT, favorendo l’ingresso di giovani donne nel settore. Organizzazioni internazionali come l’UNESCO hanno lanciato nel 2024 la piattaforma Women4Ethical AI proprio per integrare la prospettiva di genere nello sviluppo delle tecnologie AI, raccomandando politiche per chiudere il divario e promuovere leadership femminile nel digitale. In Italia nascono programmi mirati (ad es. progetti di coding per ragazze, STEM week nelle scuole, borse di studio donne-in-IA) e molte aziende promuovono percorsi di mentorship e formazione IT per le dipendenti. Tuttavia gli esperti sottolineano che il semplice interesse delle donne non basta: serve aumentare la loro fiducia con competenze pratiche. Le ricerche indicano infatti che molte donne ritengono necessario un adeguato training prima di usare strumenti come ChatGPT. Parallelamente, come osserva Deloitte, incrementare la quota femminile nella forza lavoro dell’AI è anche cruciale per ridurre i bias di genere nei modelli: una presenza più equilibrata di donne aiuta a minimizzare pregiudizi algoritmici e offre alle donne stesse un ruolo più attivo nel definire il futuro della tecnologia.

Pur con segnali incoraggianti (come la crescita delle laureate STEM e la rapida adozione dell’AI tra le donne più giovani), nel periodo post-ChatGPT persiste un ampio gap di genere nell’intelligenza artificiale. Tale divario si manifesta sia nelle statistiche sull’occupazione e sulla formazione, sia nell’uso quotidiano delle nuove tecnologie generative. Affinché l’AI possa davvero beneficiare delle diverse prospettive, occorrono interventi strutturali: formazione mirata, modelli positivi di donne in AI, politiche di reclutamento e supporto, nonché investimenti pubblici e privati. Solo così sarà possibile colmare il gap significativo tra donne e uomini nel mondo dell’AI, valorizzando il potenziale femminile nella trasformazione digitale.