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Editoria UE al bivio dell’AI generativa: le lamentele degli editori non salveranno un passato che non tornerà

Contenuto sviluppato con intelligenza artificiale, ideato e revisionato da redattori umani.
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L’industria editoriale europea si trova ad affrontare un cambiamento epocale con l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa. Recentemente, un’alleanza di editori indipendenti UE ha perfino presentato un reclamo antitrust contro Google per la funzione di “AI Overview” nei risultati di ricerca, accusata di utilizzare i contenuti editoriali per fornire risposte sommarie agli utenti sottraendo traffico ai siti di news. In parallelo, vacilla la strategia di ottenere protezione tramite la politica: l’ipotesi di imporre tasse speciali ai colossi tech (come risposta ai dazi USA) sembra essersi volatilizzata. Di fronte a queste realtà, è evidente che l’editoria non si salverà reclamando e piagnucolando su un passato che non tornerà più. L’AI generativa rappresenta uno spartiacque destinato a cambiare per sempre le regole del gioco, e agli editori non resta che reinventarsi, accelerando la trasformazione digitale e integrando l’AI nei propri flussi di lavoro – anche in ambiti considerati tradizionalmente dominio esclusivo della creatività umana.

Lamentele antitrust contro l’AI: sintomo di un settore in affanno

Il reclamo degli editori UE contro Google è emblematico dello stato di affanno dell’editoria tradizionale. Nel dettaglio, gli editori denunciano che il motore di ricerca sfrutta i loro contenuti per generare riassunti AI, posizionandoli in cima ai risultati e causando “significativo danno… in termini di traffico, lettori e ricavi”. Questi AI Overviews – già lanciati in oltre 100 Paesi – mostrano risposte generate a partire dagli articoli, di fatto soddisfacendo la curiosità dell’utente senza che questi clicchi sui link ai siti d’informazione. Gli editori sostengono di non poter nemmeno optare per l’esclusione dei propri contenuti da questi sistemi, se non ritirandosi del tutto dai risultati di ricerca Google.

Dal canto suo, Google respinge le accuse, affermando di inviare comunque “miliardi di clic ai siti ogni giorno” e sostenendo che le nuove funzionalità AI in realtà creano opportunità per far scoprire contenuti e aziende da parte degli utenti. Mountain View ha anche insinuato che le lamentele sul calo di traffico siano basate su dati incompleti, poiché “i siti possono guadagnare o perdere visite per molte ragioni” (interessi del pubblico, stagionalità, aggiornamenti algoritmici, ecc.). Ciò non toglie che tra gli editori europei serpeggi la paura di un futuro in cui il loro ruolo diventi marginale: esponenti della coalizione denunciante parlano apertamente di “minaccia esistenziale” per il giornalismo indipendente rappresentata dagli snippet AI di Google.

Questa mossa di rivolgersi ai regolatori evidenzia un approccio difensivo già visto in passato. Negli anni scorsi, gli editori europei hanno spesso cercato tutele legislative contro lo strapotere delle piattaforme digitali: ad esempio spingendo per l’introduzione di un “equo compenso” per l’uso online degli snippet delle news. Proprio la Spagna, nel 2014, emanò una legge che obbligava gli aggregatori a pagare per le anteprime delle notizie, provocando la chiusura immediata di Google News nel Paese. Il risultato? Per otto anni gli utenti spagnoli non hanno avuto Google News, finché la norma non è stata rivista (recependo la direttiva UE sul copyright) per permettere accordi negoziati con le Big Tech, condizione che ha portato alla riapertura del servizio nel 2022. Esempi come questo mostrano come l’arma regolatoria possa rivelarsi a doppio taglio: tentando di frenare i colossi del web, si rischia spesso di fare danno collaterale agli stessi editori, tagliandoli fuori dai canali di traffico principali.

Un caso analogo si è visto di recente fuori dall’Europa: in Canada nel 2023 il governo ha imposto per legge che piattaforme come Meta e Google pagassero gli editori per le news condivise. La reazione di Meta è stata drastica: ha bloccato completamente le notizie su Facebook e Instagram in Canada pur di non sottostare all’obbligo. In altre parole, i colossi tech hanno preferito rinunciare all’informazione sulle proprie piattaforme piuttosto che “cedere” alle richieste dell’editoria tradizionale, lasciando i giornali canadesi con meno visibilità e meno audience. Questo episodio – osservato con apprensione anche in Europa – insegna che fare leva sulla regolamentazione o sul conflitto frontale con Big Tech può portare a ritorsioni che peggiorano la situazione degli editori stessi.

L’illusione delle tasse ai Big Tech: un salvataggio mancato

Parallelamente alle battaglie antitrust, negli ambienti UE si era ventilata l’idea di tassare i giganti digitali come misura di riequilibrio (e in parte ritorsione per i dazi imposti dagli USA). L’ipotesi era quella di una “web tax” europea sui ricavi pubblicitari dei colossi come Google, Meta, Amazon & co., così da recuperare risorse da ridistribuire e correggere il vantaggio competitivo di queste piattaforme sul mercato continentale. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen, di fronte all’inasprirsi della guerra commerciale transatlantica, a primavera 2025 ha brandito questa minaccia sostenendo che l’UE era pronta a usare le “contromisure più forti” e colpire i servizi digitali statunitensi se i negoziati con Washington fossero falliti.

Tuttavia, col passare dei mesi, la compattezza europea su questo fronte si è sgretolata. Diverse capitali (Germania e Irlanda in primis) si sono opposte dietro le quinte all’idea di nuovi prelievi digitali, temendo effetti boomerang sull’economia UE. In assenza di un fronte comune, la minaccia fiscale di Bruxelles è rimasta sulla carta, e la stessa Politico EU l’ha definita al momento “più una mostra di intenti che sostanza” – in altre parole, un bluff rientrato. I motivi del raffreddamento sono chiari: introdurre una tassazione digitale europea richiede l’unanimità dei 27 Stati (un’impresa finora fallita ad ogni tentativo); inoltre si teme che colpire i colossi USA possa innescare una escalation di dazi e rappresaglie capaci di danneggiare ancor più le imprese e i consumatori europei stessi. In definitiva, la tanto discussa “tassa ai Big Tech” si è dissolta senza lasciare traccia concreta, privando gli editori di un altro appiglio a cui affidare la speranza di compensazioni economiche esterne.

L’epilogo di questa vicenda manda un messaggio chiaro: l’editoria non può attendersi soluzioni miracolose dall’alto. Né le cause antitrust né le imposte ad hoc sembrano in grado di riportare indietro le lancette dell’orologio a un’epoca in cui gli editori controllavano la distribuzione delle notizie e incassavano la fetta maggiore dei ricavi pubblicitari. Quello status quo non tornerà – ce lo dicono tanto gli sviluppi politici quanto la realtà tecnologica. Continuare a investire energie solo nel lamento e nella ricerca di protezioni di corto respiro rischia di essere una via morta.

L’AI generativa come spartiacque: fine di un’era (e inizio di un’altra)

L’intelligenza artificiale generativa rappresenta, per l’ecosistema dei media, un punto di non ritorno paragonabile all’avvento di Internet o dei social network, se non ancor più dirompente. Le tecnologie AI come i modelli linguistici di grandi dimensioni – ad esempio ChatGPT di OpenAI, Gemini di Google o altri – hanno raggiunto una capacità impressionante di produrre testi coerenti, rispondere a domande, riassumere informazioni e perfino creare immagini o video a partire da input minimi. Questo significa che una parte crescente del ruolo che prima era esclusivo di redattori, reporter, creativi e grafici può oggi essere svolto (almeno in bozza) da algoritmi.

In passato, gli editori potevano illudersi che almeno la creatività e l’originalità umana li avrebbero tenuti al riparo dall’automazione. Oggi non è più così: l’AI sta invadendo anche il campo creativo. Si pensi che già ora esistono sistemi in grado di scrivere articoli di base, compilare report finanziari, generare sintesi di partite sportive, creare illustrazioni o video automaticamente. Perfino nella letteratura e nel giornalismo narrativo, algoritmi avanzati possono produrre racconti o articoli abbozzati che poi un umano rifinisce. Non a caso, molti professionisti del settore iniziano a sperimentare un approccio ibrido: utilizzare l’AI come strumento di supporto per aumentare produttività e velocità, senza rinunciare al valore aggiunto umano. Ad esempio, l’autrice Parmy Olson (premio Business Book of the Year) ha rivelato di impiegare LLM per sviluppare idee e fare ricerca, considerandoli un complemento della propria originalità creativa. Questo atteggiamento, condiviso da un numero crescente di scrittori e giornalisti, riflette la consapevolezza che resistere alla tecnologia è inutile: meglio domarla e metterla al servizio del proprio lavoro.

Inoltre, il modo stesso in cui il pubblico consuma informazione sta cambiando sotto la spinta dell’AI. Con assistenti virtuali e motori di ricerca in grado di fornire istantaneamente risposte articulate (attingendo a una miriade di fonti), l’utente medio potrebbe sempre più bypassare la consultazione diretta dei siti d’informazione. Il rischio concreto per gli editori è di venire disintermediati: relegati a fornitori invisibili di materie prime informative, mentre l’AI interagisce direttamente con l’utente finale. Questo scenario obbliga i media tradizionali a ripensare profondamente il proprio ruolo e valore nell’ecosistema digitale.

Conclusione

La storia insegna che nessun settore è mai sopravvissuto arroccandosi sul passato. L’editoria europea, di fronte alla rivoluzione dell’AI generativa, deve prenderne atto una volta per tutte. Continuare a invocare protezioni statali, a sporgere reclami e a rimpiangere i tempi andati può forse guadagnare tempo, ma non risolverà i problemi di fondo. Il mondo dell’informazione è cambiato strutturalmente: i ricavi pubblicitari si sono spostati verso le piattaforme, le abitudini dei lettori evolvono (oggi scrollano sui social o chiedono a ChatGPT invece di sfogliare il giornale), e ora con l’AI persino la produzione dei contenuti sta venendo rivoluzionata.

In questo contesto, piagnucolare su un’epoca pre-AI che non tornerà più è un atteggiamento Rischia di far perdere ulteriore terreno agli editori europei rispetto ad altre realtà internazionali e ai nuovi attori tech. Al contrario, occorre ripensare radicalmente i modelli editoriali. Chi pubblica notizie deve chiedersi: cosa posso offrire di unico e di valore aggiunto nell’era dell’AI? Forse approfondimenti originali, forse un marchio di autorevolezza e fiducia, forse community di lettori fedeli – tutti elementi che una risposta generata al volo non può replicare facilmente. Ma per capitalizzare su questi punti di forza, bisogna prima abbracciare il cambiamento tecnologico: diventare esperti nell’uso dell’AI anziché combatterla, e riorganizzare le redazioni integrando le competenze digitali e di data science.

L’AI generativa può essere vista come un avversario che ruba traffico e minaccia il giornalismo, oppure come un catalizzatore che costringe l’editoria a fare quel salto evolutivo finora rimandato. La seconda opzione è l’unica che offre una prospettiva di sopravvivenza a lungo termine. L’Europa, con la sua grande tradizione culturale e giornalistica, ha le carte in regola per innovare senza snaturarsi – ma deve smettere di guardare allo specchietto retrovisore. Come ha dichiarato la stessa von der Leyen in altro contesto, “non torneremo mai allo status quo di prima”. È tempo che anche gli editori ne facciano una ragione: il futuro dell’informazione appartiene a chi saprà reinventarla, non a chi vive di lamenti per un passato ormai tramontato.

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