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Contenuto sviluppato con intelligenza artificiale, ideato e revisionato da redattori umani.
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C’è un modo semplice per leggere il rapporto fra intelligenza artificiale e futuro umano: guardare alle proporzioni. Il saggio “Artificial intelligence and the future of humanity” di Fidel Gutiérrez Vivanco propone un criterio di equilibrio che aiuta a decidere quando una tecnologia rafforza la vita delle persone e quando invece disperde energie. L’idea è che ogni sistema, compreso quello umano-tecnologico, funziona bene quando l’energia introdotta dalle macchine resta in giusta relazione con la “materia” che la sostiene: corpi, competenze, istituzioni, reti sociali, dispositivi fisici. Se si cura questa proporzione, l’innovazione diventa stabile, utile e capace di durare.

L’autore chiama questo approccio “Metodo Scientifico Universale Princonser” e lo declina con un glossario essenziale. L’energia include algoritmi, dati, codice, intenzione progettuale, cioè tutto ciò che muove i processi informazionali. La materia comprende hardware, infrastrutture, piattaforme, ma anche comunità, scuola, lavoro quotidiano. Il punto non è contrapporre i due lati: il punto è farli crescere insieme. Quando un aumento di energia digitale è accompagnato da un corrispondente rafforzamento della materia umana, la tecnologia si integra in modo naturale e crea valore che resta nel tempo.

Per visualizzare il criterio, il saggio propone una formula breve: E(AI) / M(H) = k. E è l’energia introdotta dall’intelligenza artificiale, M è la materia umana che la accoglie, k è una costante desiderabile. Tradotto: ogni volta che si alza il livello di automazione, occorre aumentare anche ciò che rende quella automazione comprensibile, governabile e produttiva nella vita reale. Se k resta stabile, il sistema è coeso. Questo non richiede apparati teorici complessi: richiede attenzione progettuale.

Pensiamo alla scuola. Inserire strumenti di generazione automatica dei contenuti diventa virtuoso quando i docenti ricevono formazione adeguata, gli studenti hanno criteri chiari d’uso, le aule dispongono di connessioni affidabili e i programmi includono attività in cui l’intelligenza artificiale serve a preparare, discutere, rifinire. Solo così l’energia digitale non resta sospesa, ma si trasforma in competenza. Lo stesso vale per la sanità quando i sistemi di supporto diagnostico sono accompagnati da percorsi organizzativi, revisioni periodiche, ruoli precisi nel team clinico. Vale per le amministrazioni pubbliche quando gli sportelli automatizzati vengono affiancati da personale capace di gestire eccezioni e casi complessi. Vale nell’impresa quando i modelli che sintetizzano documenti, predispongono report e analizzano trend si inseriscono in processi che prevedono revisione umana e responsabilità chiare.

Il saggio descrive anche il contrario, in modo sobrio: spingere energia senza accrescere materia impedisce la sedimentazione del valore. Un assistente digitale potentissimo che nessuno sa usare finisce dimenticato, una piattaforma moderna senza manutenzione rallenta, un flusso dati ricchissimo senza standard condivisi resta inerte. L’ostacolo non è la tecnologia in sé; l’ostacolo è la sproporzione. Per questo il criterio della costante k è utile a tutti, dai decisori pubblici a chi dirige un team, fino al singolo professionista che introduce nuovi strumenti nel proprio lavoro.

La parte più feconda del saggio sta nelle “leggi” che guidano questa proporzione. La conservazione invita a non disperdere ciò che già funziona, integrando il nuovo sui punti di forza esistenti. L’integrazione promuove passaggi graduali: piccoli cicli di prova, valutazione, estensione. La temporalità ricorda che hardware e software si rinnovano, quindi è sensato progettare processi capaci di aggiornarsi senza ricominciare da capo ogni volta. L’intemporalità, intesa come continuità delle capacità umane, suggerisce di curare archivi, pratiche, linguaggi, così che l’energia aggiunta resti ancorata a una memoria condivisa.

Questo approccio aiuta anche a leggere fenomeni culturali. La digitalizzazione di una lingua regionale, ad esempio, produce crescita quando alla trascrizione assistita si uniscono comunità attive, scuole che adottano materiali, festival che programmano contenuti, editori che curano edizioni digitali accessibili. Un laboratorio di ricerca accelera davvero quando modelli e dataset vengono accompagnati da protocolli, laboratori aperti, momenti di scambio. Un’azienda che introduce agenti software ottiene benefici quando aggiorna ruoli, incentivi e formazione, così che il tempo risparmiato si traduca in progettazione, qualità e nuovi servizi.

Chi cerca una bussola operativa può partire da domande semplici. Se domani raddoppiamo l’energia digitale in un processo, quale parte della materia umana raddoppiamo in parallelo? Quali competenze aggiungiamo, quali responsabilità formalizziamo, quali infrastrutture rafforziamo? Quali rituali d’uso fissiamo perché l’innovazione entri in calendario e non resti un esperimento episodico? Quali strumenti di verifica prevediamo per mantenere k vicino al suo valore ideale? Domande così trasformano una spinta generica verso il nuovo in un percorso che crea beni durevoli.

Nel saggio affiora anche un invito a progettare interfacce che aumentano le capacità invece di sostituirle. Un sistema di scrittura assistita che esplicita fonti e scelte stilistiche aiuta autori e redazioni a crescere. Un motore di ricerca interno che suggerisce criteri di classificazione migliora la qualità dei dataset nel tempo. Un assistente di progettazione che permette di confrontare versioni e annotare decisioni rafforza il pensiero di squadra. L’intelligenza artificiale diventa uno strumento di continuità quando illumina il percorso, favorisce apprendimento e lascia tracce utili per chi viene dopo.

In questa chiave, la formula E/M = k non è un orpello accademico, è un promemoria operativo. Ogni volta che si accende un nuovo modello, si chiede: dove cresce la materia che lo sostiene? Quando questa domanda riceve una risposta concreta, l’adozione smette di essere un salto nel buio e diventa un’evoluzione ordinata. Una redazione che adotta strumenti di analisi testuale definisce criteri condivisi e un calendario editoriale rinnovato. Un’università che introduce tutor intelligenti stabilisce standard di valutazione trasparenti e corsi di aggiornamento per i docenti. Una PMI che automatizza parti del customer care struttura ruoli, metriche e un percorso chiaro di escalation. Il risultato è un ciclo virtuoso in cui ogni incremento energetico lascia infrastrutture, documenti, abitudini di qualità.

Il messaggio finale è di grande apertura: l’intelligenza artificiale funziona al massimo quando amplifica la continuità umana. La costante k invita a costruire ecosistemi in cui i progressi tecnici si trasformano in competenze diffuse, in servizi affidabili, in cultura condivisa. Questo è il terreno su cui una tecnologia giovane diventa parte della normalità produttiva e civile. Chi adotta questo criterio si accorge che il tema decisivo non è la velocità del prossimo modello, bensì la cura della materia che lo accoglie. Quando questa cura c’è, l’innovazione cresce, crea valore e smette di essere transitoria.

Fonte:
Meer.com è una rivista internazionale nata come Wall Street International Magazine, attiva da oltre un decennio e dedicata a saggi culturali e filosofici di autori provenienti da vari ambiti accademici e artistici; non è una testata scientifica con revisione paritaria, è una piattaforma di divulgazione e riflessione. Tra i suoi collaboratori figura Fidel Gutiérrez Vivanco, filosofo peruviano e vicepresidente del World Philosophical Forum, noto per il “Metodo Scientifico Universale Princonser” e per un pensiero che intreccia scienza, conoscenza e tecnologia, applicato di recente anche al tema dell’intelligenza artificiale.