C’è un punto in cui la ricerca matematica smette di assomigliare a un percorso lineare e si trasforma in qualcosa di simile a un cambio di stato, una mutazione di fase. Ravi Vakil, algebrista di Stanford e presidente della American Mathematical Society, parla di questa transizione come di un evento inevitabile, un processo che la tecnologia sta spingendo avanti con velocità crescente. Nell’intervista con Daria Ivanova, Vakil alterna precisione e stupore, lasciando emergere una visione che combina consapevolezza storica e curiosità per l’ignoto. L’intelligenza artificiale, afferma, non è soltanto uno strumento di supporto: è una lente che sta deformando e insieme ampliando il modo stesso di concepire la matematica.
Il paragone che utilizza è potente e umanissimo: l’attuale intelligenza artificiale gli ricorda “uno studente brillante ma confuso”, desideroso di imparare, capace di compiere deduzioni notevoli, ma ancora privo della chiarezza improvvisa che distingue il pensiero maturo. Siamo, secondo lui, alla soglia del momento “wow”, quello in cui una macchina non si limiterà più a riprodurre metodi esistenti e concepirà un’idea realmente nuova, un passaggio di livello capace di sorprendere anche i matematici. È lo stesso tipo di evento che avvenne con AlphaGo di DeepMind: una creatura digitale che, conoscendo solo le regole di un gioco antichissimo, ideò strategie talmente eleganti da costringere i grandi maestri umani a ripensare le proprie.
Per Vakil la matematica va oltre la somma di dimostrazioni coerenti. È un sistema di rivelazioni, una pratica in cui il valore più alto risiede nella comprensione, quell’“understanding” che illumina un’intera struttura con un lampo d’ordine. Gli algoritmi possono già individuare schemi, semplificare passaggi, ottimizzare calcoli; ma resta ancora un abisso tra la logica e l’intuizione, tra il ragionamento corretto e la scoperta di un nuovo modo di pensare. In questo divario si colloca la sfida dei prossimi anni: creare problemi capaci di misurare l’inventiva dei modelli generativi, di metterli di fronte a concetti che sfuggono alla forza bruta e richiedono una scintilla concettuale.
Nella sua visione la matematica del futuro assomiglierà a un “gioco a informazione imperfetta”. Da un lato gli esseri umani, dall’altro le intelligenze artificiali, impegnati a esplorare un territorio comune senza contrapporsi, tracciando prove e controprove come mosse di un dialogo infinito. In questa partita la vera vittoria consiste nel comprendere che cosa rende affascinante la soluzione, più che nell’essere i primi a trovarla. Ogni problema inventato per l’AI costringe i ricercatori a chiedersi che cosa definisce davvero un’idea bella o significativa. E così la scrittura stessa dei problemi diventa una forma di riflessione filosofica: un esercizio per definire i confini dell’intelligenza, nostra e artificiale.
Vakil ricorda che le previsioni sugli effetti delle tecnologie si sono quasi sempre rivelate errate. Ogni rivoluzione — dalla stampa al calcolo simbolico, dal personal computer a Internet — ha generato conseguenze che nessuno aveva previsto. L’intelligenza artificiale, osserva, renderà questa imprevedibilità ancora più radicale. Eppure, in mezzo a tanta incertezza, si riconosce un filo rosso: ogni nuovo strumento ha accelerato la matematica. L’introduzione del LaTeX, la diffusione dei computer, la programmazione come lingua comune, tutto ha ampliato la portata del pensiero matematico. Ora l’AI spinge nella stessa direzione, affiancando gli studiosi e ampliando il paesaggio delle possibilità, offrendo nuove vie per visualizzare, verificare e ipotizzare.
Nel dialogo emerge anche una dimensione generazionale. Gli studiosi di oggi stanno imparando a usare l’intelligenza artificiale come una seconda lingua: efficace ma ancora con un accento riconoscibile, come chi padroneggia una lingua straniera pur restando ancorato alla propria. I matematici di domani, invece, cresceranno bilingui. L’AI sarà la loro lingua madre, e penseranno con naturalezza in termini di collaborazione uomo-macchina. In questa familiarità potrebbe nascondersi la chiave di un’espansione inattesa del pensiero matematico: una generazione capace di immaginare con l’AI, non solo di servirsene.
Vakil racconta i momenti in cui si è sentito testimone di un salto di paradigma. L’irruzione dei giochi di strategia computazionale che hanno imparato mosse inimmaginabili per gli umani, o la nascita di modelli linguistici capaci di comprendere e produrre testi con coerenza e sensibilità contestuale, sono stati per lui segnali precisi. In matematica un episodio simile non si è ancora fissato, ma il terreno si muove. Le dimostrazioni automatiche di teoremi complessi, le intuizioni probabilistiche dei modelli multimodali e le reti simboliche che cominciano a proporre congetture autonome, tutto questo preannuncia che la soglia è vicina.
Quando si tenta di quantificare il cambiamento, Vakil sorride. Alla domanda su quanto la matematica cambierà, risponde “otto più tre”, una formula volutamente ironica per dire che l’impatto sarà tanto profondo da non potersi esprimere con una scala lineare. Gli strumenti di domani toccheranno la formulazione delle congetture, la costruzione delle dimostrazioni e persino il modo in cui nascono le idee. Non serve, dice, accelerare artificialmente la corsa: la traiettoria è già vertiginosa. Al contrario, invita a non sottrarre risorse alla scienza di base per inseguire solo l’applicazione immediata dell’AI, perché sono le radici più ampie della ricerca a nutrire le scoperte che cambiano davvero il mondo.
Il cambio di fase che Vakil descrive coinvolge sia le macchine sia la mente umana che si adatta a collaborare con esse. I modelli diventeranno strumenti di introspezione, vere e proprie finestre attraverso cui osservare come nasce una scoperta. Chiedendo a un sistema “che cosa è vero” e “che cosa è noto”, si riceveranno risposte accompagnate da mappe concettuali, percorsi di collegamento capaci di guidare l’occhio umano verso regioni inesplorate del sapere. L’intuizione, in questo scenario, muta forma: passa dal genio solitario alla cooperazione cognitiva tra cervelli biologici e reti artificiali.
Alla fine, Vakil sceglie un’immagine di pace. Quando i computer superarono i campioni di scacchi, molti pensarono che il gioco fosse finito; invece il pubblico crebbe, e con esso il piacere di giocare. Lo stesso accadrà alla matematica. Anche se un giorno le intelligenze artificiali dimostreranno teoremi che nessun essere umano riuscirebbe a concepire, rimarrà intatto il desiderio di capire perché quelle verità funzionano, di sentirne la bellezza. La matematica continuerà a essere un atto di meraviglia, e le macchine, come allievi divenuti colleghi, ci offriranno nuove occasioni per sorprenderci. È in questo intreccio di mente e codice, di deduzione e intuizione, che si prepara il vero cambio di fase: un’era in cui l’intelligenza artificiale diventa una forza di calcolo capace di trasformarsi in sorgente di stupore matematico.

Verso un’intelligenza matematica artificiale: modelli, metodi, benchmark

