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Reinventare persone e aziende: cosa serve per lavorare con l’AI

Contenuto sviluppato con intelligenza artificiale, ideato e revisionato da redattori umani.
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A San Francisco, durante il Masters of Scale Summit moderato da Bob Safian, un panel pubblico ha riunito tre figure con responsabilità operative nell’intelligenza artificiale: Clara Shih, a capo del Business AI di Meta; Aneesh Raman, Chief Economic Opportunity Officer di LinkedIn; e Aaron Levie, CEO di Box. L’incontro ha messo a fuoco come i modelli generativi stiano cambiando organizzazioni, ruoli e processi, e quali competenze stiano diventando determinanti per guidare questa trasformazione.

L’idea di base è semplice e impegnativa allo stesso tempo: la competenza chiave nell’era dell’intelligenza artificiale è l’imprenditorialità intesa come disciplina del cercare opportunità senza sentirsi bloccati dalle risorse disponibili. I tre relatori hanno descritto come questo approccio richieda attenzione costante ai trend, sperimentazione diretta con i modelli e una disposizione a reinventare persone e organizzazioni in modo ricorrente. Clara Shih l’ha sintetizzato così: “Il substrato alla base delle nostre risorse cambia in modo continuo, quindi dobbiamo restare sempre all’erta, letteralmente per reinventare di continuo noi stessi e le nostre aziende.”

Il cuore della discussione riguarda la postura con cui si introduce l’intelligenza artificiale nel lavoro. Shih ha proposto un metodo in due tempi: prima l’esplorazione concreta delle capacità, poi la selezione disciplinata dei casi d’uso con ritorno misurabile. L’obiettivo è evitare soluzioni di facciata e orientare gli investimenti verso flussi che abbiano un impatto reale sui risultati. Su questa linea Aneesh Raman ha allargato lo sguardo al momento storico: “Siamo in un momento di soglia; stiamo passando dall’età industriale all’età imprenditoriale.” L’attenzione si concentra su curiosità, apprendimento rapido, resilienza e adattabilità, con enfasi su qualità personali che incidono sul lavoro in team: “curiosità, compassione, creatività, coraggio e comunicazione.”

Aaron Levie ha portato l’attenzione sul disegno dei processi. Secondo lui, l’adozione inserita negli schemi esistenti produce benefici marginali. Il salto di produttività arriva quando si riprogetta il lavoro attorno agli agenti, offrendo contesto, istruzioni e regole che permettono a questi sistemi di operare con efficacia. Lo ha detto in maniera diretta: “Se inserisci l’intelligenza artificiale nei processi di oggi, in pratica farà molto poco e devi riprogettare il flusso di lavoro; dobbiamo metterci al servizio dell’agente per renderlo davvero produttivo.” Qui l’imprenditorialità diventa pratica quotidiana: osservare dove gli agenti sbloccano colli di bottiglia, stabilire metriche di qualità, creare cicli brevi di prova e correzione, e solo dopo estendere la scala.

Il tema dell’occupazione è emerso con un’angolazione diversa rispetto ai timori più diffusi. Levie ha sostenuto che una buona integrazione dell’intelligenza artificiale porta a un aumento del ritorno per persona e quindi incentiva a investire in più persone: “L’intelligenza artificiale ti porterà a voler avere più persone, perché il ritorno su ciascun dipendente migliora con l’intelligenza artificiale.” L’argomento si lega ai risultati già visti in funzioni come vendite e marketing, dove strumenti digitali e automazioni hanno ampliato la portata del lavoro, richiedendo supervisione competente e coordinamento più raffinato.

Dalla discussione sono arrivate indicazioni anche sulla forma dell’impresa e sulla natura dei ruoli. Shih prevede una compressione dell’iperspecializzazione e una crescita dei profili generalisti, con effetti sull’avvio di nuove attività: “L’intelligenza artificiale aiuterà sempre di più a ridurre la frammentazione della specializzazione e a creare più piccole imprese. Penso che assisteremo a un’esplosione del numero di attività che nasceranno.” Raman ha aggiunto che le carriere tenderanno a costruirsi intorno a progetti e compiti, con minore centralità dei titoli formali e maggiore attenzione alle competenze attivate sul campo.

Il punto sul quale i tre convergono è la natura operativa dell’imprenditorialità. Non riguarda solo fondatori o manager di vertice. Diventa una competenza trasversale che si esprime nel saper individuare dove l’intelligenza artificiale crea leva, nel definire obiettivi misurabili e nel mantenere cicli di iterazione rapidi. In questa prospettiva, la curiosità invocata da Raman funziona come motore dell’apprendimento continuo, mentre la capacità di comunicare e coordinare guida la traduzione delle scoperte in processi che danno risultati stabili.

Quando il moderatore ha chiesto quale competenza crescerà d’importanza nei prossimi anni, Shih ha risposto senza esitazioni: “Direi l’imprenditorialità, intesa come la ricerca di opportunità senza badare ai vincoli di risorse; dobbiamo restare costantemente vigili, sulle punte, per reinventare continuamente noi stessi e le nostre aziende.” L’insieme delle posizioni offre una cornice di lavoro concreta per chi guida team snelli o realtà in crescita: verificare sul campo le capacità dei modelli in compiti delimitati con criteri di qualità espliciti, ridefinire ruoli e flussi attorno agli agenti fornendo loro il contesto necessario, curare le competenze che sostengono il cambiamento a partire dalla curiosità metodica e da una comunicazione precisa.

L’imprenditorialità, intesa come pratica del cercare opportunità oltre i vincoli percepiti, diventa così la competenza che orienta scelte, priorità e tempistiche. Bisogna attendersi cambiamenti continui, investire in abitudini di apprendimento, costruire processi in cui gli agenti trovino le condizioni per funzionare. Una traiettoria utile per chi sta integrando l’intelligenza artificiale nel lavoro quotidiano con obiettivi misurabili e una prospettiva di crescita sostenibile.

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